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Equity crowdfunding, quando gli incubatori diventano mediatori culturali

L’incubatore diventa un mediatore culturale indirizzando startup e investitori verso le forme di fund raising più adeguate, anche verso l’equity crowdfunding. Da questo anno esteso anche alle PMI

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MILANO – Malgrado l’equity crowdfunding sia un settore agli albori, qui in Italia, sta prendendo sempre più piede quando parliamo di forme innovative di fund raising, che non riguardano solo le startup innovative (appunto), ma che a seguito della recente normativa possono coinvolgere anche le PMI. Sul tema c’è ancora molta confusione, ma il 2017 potrebbe essere l’anno di svolta. Secondo Starteed, che ha analizzato i vari portali di crowdfunding presenti in Italia, sarà proprio l’equity crowdfunding a registrare una maggiore crescita, soprattutto a seguito delle agevolazioni fiscali introdotte dalla legge di bilancio, aumentate al 30%. Fin qui tutto bene. Ma in un settore – quello del fund raising – dove gli attori coinvolti sono tanti, dai business angels, ai venture capital, come si posiziona davvero l’equity crowdfunding? In particolare, che ruolo assumono gli incubatori certificati del Belpaese?

Incubatori ed equity crowdfunding
Per prima cosa sfatiamo un mito: non è vero che equity crowdfunding e incubatori non possono andare d’accordo. Anzi, l’idea è proprio quella di spingere le due realtà a collaborare sempre di più. Prendiamo ad esempio il PoliHub di Milano. «Non siamo assolutamente in disappunto con l’equity crowdfunding – ci racconta Stefano Mainetti, CEO del PoliHub -. Anzi. Attraverso la nostra School of Management del Politecnico di Milano stiamo studiando attentamente il fenomeno per metterci nella possibilità di offrire alle nostre startup e ai nostri investitori le soluzioni più adeguate indirizzandoli, quando idoneo, anche verso l’equity crowdfunding».

Incubatore come mediatore culturale
Oggi, dove anche in Italia il fenomeno delle startup è letteralmente esploso (sono circa 7mila quelle registrate nell’apposita sezione del Registro delle Imprese), la difficoltà per chi sceglie di investire, sta nel conoscere in modo, se vogliamo, «intimo», il progetto su cui si vuole puntare. In un certo senso l’incubatore si pone come realtà intermedia che, avendo acquisito nel tempo una serie di competenze e di know how, è capace di indirizzare startup e investitori verso le soluzioni più adatte in base al tipo di progetto, al suo stato di validazione e alla tecnologia utilizzata. «Quello che facciamo – continua Mainetti – è mettere sul campo le nostre conoscenze. Di fatto esistono startup più adatte al venture capital e startup che, invece, si apprestano meglio all’equity crowdfunding. Il nostro compito è quello di indirizzare startup e investitori nella direzione più ottimale a soddisfare entrambe le esigenze, indirizzandoli anche verso le piattaforme di equity crowdfunding più adatte». In questo senso l’incubatore diventa un mediatore culturale, laddove la cultura rappresenta quanto appreso in questi anni a livello di imprenditoria, innovazione e tecnologia.

Startup più adatte all’equity crowdfunding
Esistono, però, in concreto, delle startup che sono più adatte all’equity crowdfunding? Partendo dall’assunto che ogni startup, per essere attrattiva, deve già possedere tutta una serie di requisiti dal prototipo al business plan alle metriche? I fondatori del portale di equity Mamacrowd, ad esempio, hanno più volte affermato di voler accettare sulla propria piattaforma solo startup che erano già state in qualche modo validate da uno o più incubatori certificati italiani. E non a torto. Di fatto, a una campagna di equity crowdfunding, può accedere anche una startup in early stage che magari abbia già ottenuto in piccolo micro seed da un incubatore o che, altrimenti, disponga già delle prime metriche necessarie a validare il progetto anche agli occhi degli investitori. «E poi le PMI – ci dice ancora Mainetti -. Con la nuova legge di bilancio l’equity crowdfunding è stato esteso anche alle imprese. Secondo me è importante che anche questo segmento dell’impresa italiana si affacci a questa nuova forma di finanziamento. Soprattutto perché si tratta di realtà già consolidate, che hanno una storia e dei bilanci che possono ritornare molto utili agli investitori. Il consiglio che do alle piattaforme di equity crowdfunding è di alzare l’asticella e attrarre anche le PMI».

Una valida alternativa
Tutto questo poi per cercare di spiegare una cosa molto semplice: fare fund raising con l’equity crowdfunding si può. E non dev’essere considerata l’ultima spiaggia, quando venture capital o incubatori hanno chiuso le porte. Ma come una valida alternativa da tenere in considerazione, valutando il proprio progetto e il network che si ha a disposizione. E soprattutto sfatando il mito che sui portali di equity crowdfunding approdano progetti mediamente validi. Poichè numeri, campagne e progetti ci confermano il contrario.

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